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Lorenzo Govoni

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Valutazione delle rimanenze di magazzino: 3 metodi principali

rimanenze di magazzino

Le scorte sono uno dei beni più grandi e importanti di tutte le imprese manifatturiere. Si stima che mediamente esse incidano per il 20% sul valore del magazzino e per l’1,8-2,3% sul fatturato aziendale (tali valori possono essere maggiori o minori a seconda della tipologia di azienda, settore, mercato).

Questo è uno dei motivi per cui le aziende decidono di svolgere l’inventario per definire tutte le merci presenti in magazzino.

Oltre alla quantità degli articoli si definisce un valore per queste scorte, in quanto esse rappresentano attività correnti e incidono sui rendiconti aziendali.

Chi si occupa di contabilità di magazzino definisce un metodo di valutazione, come il FIFO, il LIFO o il costo medio ponderato. Scegliere uno di questi metodi piuttosto di un altro può fare una grande differenza, in quanto valori di inventario inaccurati possono far sembrare un’azienda più redditizia di quanto non sia in realtà.

In quest’articolo voglio mostrare i principali metodi di valutazione delle rimanenze di magazzino. Prima vediamo come esse si possono suddividere e successivamente come esse influiscono sul calcolo del costo dei beni venduti.

 

Rimanenze finali di magazzino

Alla fine di ogni anno le aziende prediligono l’inventario dei beni posseduti in azienda. Questi beni vengono contabilizzati a bilancio sotto il nome di rimanenze finali.

Se volessimo darne una definizione vera e propria, potremo dire che le rimanenze finali:

“Rappresentano ciò che è stato prodotto da un’impresa ma non venduto alla fine dell’anno. Si tratta di ricavi potenziali e pertanto figurano sia tra le attività dello Stato Patrimoniale, sia tra i componenti positivi del Conto Economico.” (Fonte Mimi)

 

 

Le rimanenze finali generalmente vengono classificate sotto le cinque tipologie seguenti:

  • Materie prime: sono i componenti che l’azienda utilizza per produrre i suoi beni e/o servizi. Ad esempio, se si gestisce un’attività di gelateria, le materie prime rappresentano il latte, lo zucchero e l’acqua che sono utilizzate per fare il gelato.

  • le materie sussidiarie e di consumo: sono costituite da materiali usati indirettamente nella produzione, come ad esempio la carta, le biro, i toner delle stampanti, necessari all’impresa per tracciare gli avanzamenti di produzione, o per preparare i documenti di trasporto per le spedizioni, ecc.

  • Work-in-process (WIP): definito anche semilavorato, il wip è qualsiasi merce non finita che l’azienda ha realizzato. Se l’attività produce e vende sedie, l’inventario del lavoro in corso includerebbe tutte le sedie non finite a disposizione della azienda.

  • Merci: sono i beni che l’impresa acquista per rivenderli così come sono, senza nessuna ulteriore lavorazione o trasformazione. In un’attività di vendita al dettaglio che compra e vende giocattoli, i giocattoli che vengono acquistati sono considerati merci.

  • Prodotti finiti: i beni ottenuti dalle imprese attraverso un processo di lavorazione si dicono prodotti finiti. In questo caso, le materie prime e sussidiarie vengono trasformate in prodotti finiti. Se l’azienda produce materiali plastici, una bottiglia di plastica che viene prodotta e venduta può considerarsi prodotto finito.

Una volta concluso l’anno le rimanenze finali vengono rinviate all’anno successivo per una questione di competenza. Di fatto, esse vengono contabilizzate come rimanenze iniziali, in quanto nel nuovo anno rappresentano costi (e quindi vanno imputati al conto economico tra i componenti negativi).

 

Principali metodologie di valorizzazione delle rimanenze di magazzino

Vediamo ora quali sono i metodi di valorizzazione delle rimanenze e come essi funzionano, avvalendoci di un semplice esempio per facilitarne la comprensione.

Ipotizziamo di essere un’azienda al dettaglio che vende smartphone e di:

  • avere rimanenze iniziali nulle (per semplificare i calcoli);
  • acquistare con tre ordini differenti un cellulare (codice CEL01);
  • vendere in un primo caso 95 di questi cellulari durante l’anno solare;
  • in un secondo caso venderne solamente 55.

 

 

1) Specifico costo di acquisto

Il criterio del costo specifico si prefigge l’obiettivo di valutare singolarmente le rimanenze, acquistate o prodotte, determinandone separatamente il costo relativo. Nell’esempio appena esposto il valore del magazzino sarebbe pari a: 

(10 * 90) = 900€ se le rimanenze fossero composte da prodotti acquistati in data 24/04;
(10 * 85) = 850€ se relative a prodotti acquistati il 29/10, e così via. 

Nel secondo caso se le quantità rimanenti fossero pari a 60 avremo:

(25 * 90 + 35 * 85) = 5225€ se le rimanenze fossero composte da prodotti acquistati in data 24/04 (25 pezzi) e 29/10 (35 pezzi);
(50 * 90 + 10 * 85) = 5350€ se le rimanenze fossero composte da prodotti acquistati in data 24/04 (50 pezzi) e 29/10 (10 pezzi), e così via.

Tale metodo non è di facile utilizzo poiché richiede la possibilità di correlare, senza errore, le rimanenze ai costi per essa sostenuti. 

Per tale motivo esso può venire adottato in presenza di prodotti non intercambiabili (non fungibili), oppure quando è possibile tenere fisicamente separate le diverse partite di merci in magazzino.

Inoltre, seppur estremamente corretto, esso viene utilizzato molto raramente, soprattutto se si gestiscono migliaia di articoli, in quanto poi diventa molto complicata la gestione.

 

2) Costo di fine esercizio

Secondo questo criterio le rimanenze vanno valutate al costo più vicino alla data in cui si opera la chiusura dell’esercizio contabile.

Tale metodo non si riferisce né alle modalità di movimentazione fisica delle materie né ai costi effettivamente sostenuti, ma al valore che le giacenze presentano in un certo istante. Ipotizzando che alla data di chiusura del bilancio il prezzo di mercato delle materie prime in giacenza sia pari a 75€, le rimanenze verrebbero valutate: 

10 * 75 = 750€

Oppure nel secondo caso:

60 * 75 = 4500€

Secondo la logica economica questo metodo non è coerente con i fini che si propone il bilancio d’esercizio in ipotesi di funzionamento perché, da un lato, il concetto di costo corrente di fine esercizio è estremamente incerto e soggettivo e, dall’altro, perché impedisce ogni collegamento tra il valore delle rimanenze ed i processi di gestione che l’azienda ha posto in essere nel periodo amministrativo.

Per questi motivi anch’esso è poco utilizzato nella pratica.

 

3) Costo medio ponderato

Con il metodo di valutazione del costo medio ponderato, occorre calcolare il costo medio di tutti gli articoli acquistati durante un periodo. In altre parole, il valore di ogni ordine viene sommato e suddiviso per la quantità del bene acquistato.

Secondo l’esempio mostrato ed ipotizzando una rimanenza del codice CEL01 pari a 10, avremo:

Se a scorta invece avessimo 60 pezzi otterremo invece il seguente valore:

 

4) FIFO (First in – First out)

Secondo il metodo di valutazione delle rimanenze first-in-first-out (FIFO), si presume che gli articoli di magazzino siano venduti nell’ordine in cui sono prodotti o acquistati. In altre parole, gli articoli di inventario più vecchi vengono venduti per primi.

Il metodo FIFO è ampiamente utilizzato perché le aziende in genere vendono i prodotti nell’ordine in cui sono acquistati, quindi rappresenta al meglio il flusso effettivo di merci in un’azienda.

Se a fine anno abbiamo 10 scorte a magazzino il valore FIFO considera il prezzo dell’ultimo CEL01 acquistato (85€) perché presuppone di aver venduto di 95 pezzi, 20 pezzi comprati il 16/01 al prezzo di 100€, 50 pezzi comprati il 24/04 al prezzo di 90€ e 25 pezzi comprati il 29/10 al prezzo di 85€ (ne sono rimasti esattamente 10 al prezzo di 85€). In altre parole il fifo in questo caso vale:

FIFO = 10 * 85 = 850€

Al contrario se avessimo come scorta 60 pezzi, il metodo fifo presuppone di aver venduto di 55 pezzi, 20 pezzi comprati il 16/01 al prezzo di 100€ e 35 pezzi comprati il 24/04 al prezzo di 90€. Ne rimangono 15 comprati al prezzo di 90€ e 35 al prezzo di 85€:

FIFO = 15 * 90 + 35 * 85 = 4325€

 

5) LIFO (Last In First Out)

Il metodo di valutazione dell’inventario Last-In-First-Out (LIFO) presuppone che gli articoli acquistati o prodotti più di recente siano venduti per primi, quindi l’esatto contrario del metodo FIFO.

Riproponendo l’esempio sopra otteniamo che per una scorta di 10 pezzi avremo:

LIFO = 10 * 100 = 1000€

Questo perché abbiamo venduto tutti i 35 pz a 85€, poi tutti i 50 a 90€ e infine 10 pezzi anche a 100€.

Se invece avremmo a scorta 60 pezzi, il valore del lifo diventa:

LIFO = 20 * 100 + 40 * 90 = 5600€

In questo caso ci rimane tutto quanto comprato nell’acquisto 1 (20 pezzi a prezzo 100€), e parte dell’acquisto 2 (40 pezzi a prezzo 90€).

 

Se si hanno più prodotti, come nella realtà, il calcolo delle rimanenze di magazzino non cambia: basta semplicemente sommare il valore ottenuto da un codice (come nel caso del CEL01), con i valori ottenuti di tutti gli altri codici, calcolati con lo stesso metodo, per ottenere il valore delle rimanenze finali di magazzino da inserire a bilancio. Un esempio di quanto appena affermato, per il calcolo del lifo, lo puoi trovare qua (anche se in inglese).

Difficilmente poi le aziende calcolano a mano questo valore: è molto più facile che esse si avvalgono di un software gestionale o di strumenti di calcolo come Excel, che ne facilitano la gestione se il numero di articoli è elevato.

 

 

Il costo dei beni venduti

La valutazione delle rimanenze di magazzino impatta anche il costo dei beni venduti (o costo del venduto).

Definito anche come COGS (Cost of Good Sold), il costo dei beni venduti è un calcolo gestionale che considera tutti i costi relativi alla vendita di un prodotto. 

In altre parole, questa è la quantità di denaro speso dalla società per lavoro, materiali e spese generali per la produzione o l’acquisto di prodotti venduti ai clienti durante l’anno (per maggiori informazioni in merito leggi questo articolo). 

La formula generica per calcolare questo valore è la seguente:

Rimanenze iniziali + Acquisti – Rimanenze finali = Costo dei beni venduti

Nell’esempio proposto sopra vediamo come cambia il costo dei beni venduti al variare del metodo di valutazione delle rimanenze (vengono esclusi il criterio del costo specifico e del costo finale di esercizio perché, come anticipato, sono raramente utilizzati).

 

 

Questo esempio è molto semplice (non si hanno rimanenze di magazzino e si hanno solo pochi movimenti e acquisti di un solo codice!), ma serve per comprendere come poi ciò impatta i vari rendiconti finanziari.

Nell’immagine sopra, se guardi bene, nel primo caso non abbiamo molta differenza tra i vari costi dei beni venduti, mentre nel secondo caso già si nota di più.

Immagina avere centinaia di prodotti, con acquisti differenti a prezzi differenti, come tutto ciò possa diventare complesso e dare risultati diversi!

Puoi ora capire bene perché usare un metodo o un altro può impattare anche di molto. 

 

FIFO, LIFO o Costo medio ponderato: quale utilizzare?

Quale metodo dei più utilizzati ed esposti è il migliore? Fifo, Lifo o Costo medio ponderato?

La risposta è dipende.

A prima vista, se i costi delle scorte sono in aumento, o è probabile che aumentino, il metodo del LIFO potrebbe essere migliore, poiché gli articoli a costo più elevato (quelli acquistati o prodotti per ultimi) sono considerati venduti.

Le aziende che utilizzano le valutazioni dell’inventario LIFO sono in genere quelle con scorte relativamente grandi e costi crescenti perché il LIFO tipicamente si traduce in livelli di profitto più bassi, tasse più basse e di conseguenza un flusso di cassa più elevato.

Tieni però a mente che il LIFO non è un buon indicatore del valore di inventario perché l’inventario rimanente potrebbe essere estremamente vecchio e, forse, obsoleto. Ciò si traduce in una valutazione molto inferiore rispetto ai prezzi odierni.

Se è vero il contrario e i costi delle scorte stanno diminuendo, il metodo FIFO potrebbe essere migliore (come nel caso dell’esempio proposto sopra, in quanto il cellulare si svaluta nel tempo).

Il FIFO ci dà una migliore indicazione del valore del magazzino finito sul bilancio, ma aumenta anche il reddito netto perché il costo dei beni venduti sarà più basso (a parità di acquisti e rimanenze iniziali).

L’aumento del reddito netto sembra buono, ma ricorda che ha anche il potenziale per aumentare la quantità di tasse che un’azienda deve pagare.

Se si desidera un costo più accurato, FIFO è migliore, poiché presuppone che gli articoli meno costosi e meno venduti vengano solitamente venduti per primi.

Per quanto riguarda il costo medio ponderato, esso tende a mediare le fluttuazioni di prezzo in aumento e diminuzione verificatesi in periodi di forte instabilità. Ciò può risultare apprezzabile per garantire omogeneità nel tempo al valore delle rimanenze. In generale esso viene utilizzato in situazioni per cui:

  • il sistema contabile non è sufficientemente sofisticato per tracciare i livelli dell’inventario FIFO o LIFO, magari per la complessità del sistema o perché non si ha nessuno strumento a supporto.

  • un’azienda non ha molte variazioni nel proprio inventario, perché i beni rimangono indicativamente nelle stesse quantità da un anno all’altro.

  • gli articoli di magazzino sono così interconnessi che è impossibile assegnare un costo specifico a una singola unità. Ciò può accadere nel settore chimico, farmaceutico, agricolo o petrolifero (fonte chron).

Considera che la scelta del giusto metodo di valutazione delle rimanenze di magazzino per l’azienda dipende da tutta una serie di fattori (oltre che la variazione di prezzo), come il luogo in cui si basa l’attività, quanto varia l’inventario, il settore di appartenenza, gli obiettivi aziendali, ecc.

Di conseguenza, sarebbe opportuno effettuare ulteriori analisi per comprendere il contesto in cui l’azienda lavora, nonché il processo produttivo e le tecniche di gestione delle scorte utilizzate.

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